Il Tribunale Civile di Roma, Sezione Lavoro, ha egregiamente evidenziato – sintetizzandoli – i principi che regolano la materia di licenziamento individuali per cessazione di attività aziendale durante questa epocale emergenza sanitaria da c.d. COVID-19.

La vicenda che ha occupato il Tribunale era quella di un lavoratore già dipendente di un Azienda come vice capo cuoco, che aveva impugnato il licenziamento intimatogli per giustificato motivo oggettivo, ovvero cessazione integrale dell’attività aziendale, che egli considerava nullo e comunque illegittimo, per violazione del DL 18/2020 e dell’art. 14 D.L. n. 104/2020 e comunque delle norme precedenti che vietavano il licenziamento per giustificato motivo oggettivo nel periodo emergenziale.

La lettera di licenziamento indicava le ragioni della scelta datoriale in modo puntuale precisando che “la Scrivente società attualmente sta subendo gli effetti legati alla crisi sia del settore che generale, con conseguente drastica riduzione dei consumi, che non permettono la prosecuzione dell’attività lavorativa, siamo spiacenti di informarLa che, con decorrenza xxx siamo costretti a procedere al Suo licenziamento causa la cessazione dell’attività aziendale. Con la presente siamo contestualmente a darLe preavviso di licenziamento …e il rapporto cesserà senza comunicazione ulteriore“.

Il ricorrente sosteneva che il licenziamento sarebbe nullo per violazione del divieto di licenziamento introdotto nel nostro ordinamento dal D.L. n. 18/2020, intimato quando proseguiva il divieto a seguito del Covid disposto con l’art. 46 del D.L. 17 marzo 2020, n. 18 (“Decreto Cura Italia”) e confermato con il c.d. Decreto Rilancio del 19-5-2020 n. 34, successivamente ribadito con l’art. 14 D.L. 14-8-2020 n. 104 e con il D.L.n.137/2020.

Le eccezioni al divieto di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, si ricavano oggi dall’art. 12, co. 9 e 11, del d.l. n. 137 del 28 ottobre 2020 – ma già, per ciò che rileva nel presente giudizio (licenziamento del settembre 2020), con formula identica, dall’art. 14, co. 1 e 3 del d.l. n. 104 del 2020.

La normativa richiamata esclude dal divieto di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, l’ipotesi:

  1. dalla cessazione definitiva dell’attività dell’impresa, conseguente alla messa in liquidazione della società senza continuazione, anche parziale, dell’attività, se
  2. nei casi in cui nel corso della liquidazione non si configuri un trasferimento d’azienda o di un ramo di essa ai sensi dell’articolo 2112 del codice civile,
  3. salve le ipotesi di accordo collettivo aziendale, stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro, limitatamente ai lavoratori che aderiscono al predetto accordo.
  4. di fallimento, quando non sia previsto l’esercizio provvisorio dell’impresa, ovvero ne sia disposta la cessazione. Nel caso in cui l’esercizio provvisorio sia disposto per uno specifico ramo dell’azienda, sono esclusi dal divieto i licenziamenti riguardanti i settori non compresi nello stesso.

Ne consegue che, il datore di lavoro non può limitarsi a fornire la prova di non svolgere alcuna attività ma deve provare che l’attività di impresa è cessata in modo definitivo, in conseguenza della messa in liquidazione della società senza continuazione e senza cessione, anche parziale, dell’attività.

Nel caso che ha occupato il Tribunale, la resistente non ha dimostrato il verificarsi delle suddette condizioni di cessazione definitiva con liquidazione o cancellazione o fallimento senza continuazione e anzi dalla visura prodotta risultava che l’impresa non era definitivamente cessata o cancellata, né messa in liquidazione, pur risultando semplicemente inattiva.

Il ricorso è stato quindi accolto e la causa decisa immediatamente e senza dilazione nel merito dichiarando la nullità del licenziamento intimato al ricorrente e condannando la società resistente a reintegrare nel posto di lavoro il ricorrente e a corrispondergli a titolo di risarcimento del danno subito, un’indennità in misura pari all’ultima retribuzione utile ai fini del calcolo del T.F.R. maturata dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione.

 

Tribunale Civile di Roma – Sezione lavoro – Sentenza 12 marzo 2021 n. 2362

Avvocato Lorenzo Mosca